Robert Curzon

Visits to Monasteries in The Levant di Robert Curzon

I viaggi di un lord dell’Ottocento alla ricera di antichi manoscritti e libri a cura di Antonio Piccolo

In tempi in cui è così difficile viaggiare fisicamente, come in questi tempi di pandemia, possiamo farlo ricorrendo ad altri mezzi ed i libri possono essere certamente uno di questi veicoli coi quali andare in esplorazione di nuove terre. Alcuni libri poi ci consentono di viaggiare oltre che nello spazio anche nel tempo. È il caso di Visits to Monasteries of the Levant (Londra, 1849) di Sir Robert Curzon.

Indulgendo nella piacevole narrazione, spesso umoristicamente British e ricca di annedoti, il lettore può ripercorrere con l'autore gli itinerari monastici da lui battuti nel 19° secolo nelle diverse regioni del Mediterraneo Orientale, storicamente conosciuto col nome di Levante.

Nel corso di più viaggi, svolti fra il 1833 ed il 1838, il futuro Lord Zouche andò in Egitto, dove navigò lungo il Nilo e visitò il Cairo; si inoltrò nel remoto deserto della regione dei Laghi Natron ed andò poi in missione notturna nella necropoli dell'antica Tebe. Fu in Terra Santa, dove si unì ai pellegrini sopraggiunti a Gerusalemme per i riti della Pasqua ortodossa; fece più volte capo a Costantinopoli, che, all'epoca capitale dell’impero ottomano, era uno dei fulcri del Levante. Si avventurò in seguito per un inconsueto quanto rischioso percorso tra le regioni montuose dell'Albania per arrivare nella regione da fiaba di Meteora. Peregrinò infine negli antichi monasteri che, allora come oggi, costellano la penisola del Monte Athos.

Non furono tanto motivazioni di ordine spirituale a spingere Robert Curzon per i monasteri del Levante; ma le finalità terrene, anzi fin troppo materiali che lo mossero, furono altrettanto nobili. Egli era infatti un attivo collezionista di manoscritti e libri antichi ed il suo scopo era quello di esplorare le biblioteche dei monasteri orientali per potersi procurare antichi esemplari di suo interesse. Consapevole che sarebbe stato difficilissimo, la sua speranza era sempre quella di imbattersi in qualche volume contenente un classico dell'antichità, se non qualche testo fino allora considerato perso o del tutto sconosciuto.

I monaci erano spesso ben disposti a vendergli i libri, a volte anche a regalarglieli: essi infatti tenevano in considerazione solo i libri necessari alla preghiera ed alla liturgia; il loro interesse per i libri antichi, che essi consideravano per lo più solo come oggetti in disuso, era invece molto scarso. In alcuni casi estremi, succedeva che quei depositi di vecchie cartepecora venissero reimpiegate per scopi pratici: un altro viaggiatore aveva trovato in un monastero balcanico dei grandi volumi ridotti ad inginocchiatoi sul freddo ed umido pavimento in marmo della chiesa; Curzon invece trovò in un monastero egiziano dei libri utilizzati per coprire vasi di conserve alimentari ed una grande quantità di pergamene ammassate sul pavimento di una cantina dell'olio.

Non mancavano tuttavia dei monasteri dove i libri erano ben tenuti ed i monaci fossero più consapevoli dei loro beni. In generale, dalla narrazione, che potrebbe essere sospettata di tendenziosità, del nostro avventuriero, non traspare che i monaci tenessero nella dovuta considerazione l'importanza documentale dei loro libri antichi, nè sembra che le loro biblioteche rappresentassero per loro un tratto di identità comunitaria. Sorprendentemente, però, erano particolarmente sensibili a riconoscere tutto il valore antiquario dei loro volumi, dai quali erano disposti a separsene all'allettante suono di monete d'oro e d'argento.

In qualche caso però queste non furono sufficienti: talvolta i monaci si rifiutarono di vendere per dissidi comunitari. In un caso, dopo aver chiuso la contrattazione col generoso collezionista, si rifiutarono di cedere un volume perchè l'explicit di un manoscritto imperiale diceva che la maledizione si sarebbe abbattuta su chi avesse venduto quel volume!

Curzon si proponeva di utilizzare gli antichi manoscritti della sua collezione per illustrare una storia, presumibilmente universale, della scrittura: l’obiettivo era talmente ambizioso che egli non riuscì a conseguirlo, forse nemmeno a cominciarlo. I suoi interessi spaziavano dall'antichità classica fino alle origini cinesi della stampa. Un rarissimo codice mixteco, ritrovato in un monastero di Firenze ed acquisito alla sua collezione, fa pensare che la sua storia della scrittura avrebbe incluso anche l'America precolombiana.

Sebbene non riuscì nel grandioso intento, il merito di Lord Zouche è altrettanto lodevole: la sua passione risparmiò dall’oblio e dalla distruzione un cospicuo numero di antichi manoscritti bizantini, siriaci, copti, slavi ed altri ancora. I preziosissimi manoscritti della collezione, grazie anche alla magnanimità della sua famiglia, sono oggi un patrimonio universale, custodito alla British Library.

Visits to Monasteries fu edito per la prima volta a Londra nel 1849 ed ebbe subito grande successo, tanto da essere ristampato per ben tre volte nel solo primo anno. Venne costantemente riedito e ristampato per l'intera Età Vittoriana (1851, 1865, 1881, 1897); altre edizioni si ebbero nella prima metà del Novecento. Nel 1983 fu nuovamente edito, nella collana the Century Travellers delle londinesi Century Publishing e Gentry Books Limited.

In più di centosettanta anni, l'opera non è mai stata tradotta in italiano. Non starò qui a congetturarne le non ragioni per le quali è stato tralasciato, ma annuncio che è arrivato il momento. Chi scrive infatti è ormai ad uno stadio avanzato del lavoro di traduzione, che consentirà al lettore italiano di percorrere fantasticamente questi inconsueti itinerari, col vivo auspicio di cominciare ad interessarsi alla conoscenza ed allo studio dei manoscritti e dei libri antichi.

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Curzon “perhaps the most attractive figure in the annals of book-collecting in England.” – Munby, Phillipps Studies, III, p. 122.

“A great classic of the literature of travel, and one, moreover, which has book-collecting for its main theme” – Munby, Phillipps Studies, III, p. 124.

 

a cura di Antonio Piccolo.